è una felicità che uccide.

Calde. Solcano il mio viso, e mi allagano il cuore. Sangue del tuo sangue, pozzanghere di occhi che hanno visto mondi così diversi ma che sanno piangere uno stesso dolore. È una felicità che uccide. È la bellezza di un sogno che sta prendendo vita, violento come uno squarcio su una tela immacolata. Camminiamo sotto un viale alberato ma i nostri occhi non vedono le stesse cose. I tuoi occhi vedono ciò che il cuore gli suggerisce. Occhi che hanno davanti cent’anni di ricordi, occhi che hanno visto odori e voci che io non potrò mai conoscere, nemmeno dalle tue parole, nemmeno se me lo ripetessi per cento o mille volte. Occhi, altri occhi, che hanno vent’anni, o forse mille, occhi pieni di sogni, che ascoltano la tua voce ma intanto navigano verso chissà quale orizzonte. Occhi che hanno ascoltato le tue storie e si sono chiusi, addormentati, forse mille volte, cullati dal suono di quella stessa voce che oggi un po’ si spezza per la malinconia e un po’ si affanna per la salita. Sono calde queste lacrime e in ognuna di esse è già fisso il fermo immagine di un ricordo, uno di quelli che non passeranno: il tepore di una sera di maggio, il silenzio di un borgo che sembra fantasma, la luce accesa di una finestra, il profumo dei tigli in fiore, ogni angolo della casa che mi ha vista bambina. Sono calde, e continuano a scendere, puntano dritte al cuore, sono pesanti, ingombranti, rumorose e invadenti. O forse sono calde perché cariche d’amore, per ricordarmi chi sono, per ricordarmi le voci e gli occhi a cui più di tutto al mondo mi sento grata, forse sono così calde e puntano dritte al cuore per continuare a cullarlo e accarezzarlo, proprio come le parole che mi hanno vista crescere.