Le reazioni degli altri sarebbero imprevedibili, e questo spaventa, perché può smuovere il tutto.

Sono testarda. Sensibile. Orgogliosa. Romantica. Distratta. Disordinata ma precisa. Riconoscente. Impulsiva. Potrei mettere insieme altri cento aggettivi che cozzano tra loro e apparentemente non hanno un senso per chi non mi sa ascoltare. Questo è indubbiamente un periodo strano, in cui sto cercando di mettere insieme tutto quello che è passato finora e allo stesso tempo cerco di fare progetti su una base inesistente di futuro. Un attimo prima sogno di essere la “Beloved One” di Ben Harper, musa ispiratrice di un poeta o di un pittore o, magari, di un musicista. Non sono passati neanche cinque minuti e mi immagino donna in carriera, indipendente, bicchiere di caffè e agenda sempre a portata di mano, niente a che vedere con quella me stessa bohémien che ho immaginato poco prima. E probabilmente non diventerò nemmeno niente di tutto questo. Ma ho la testa e i muri pieni di immagini a ricordarmi chi sono. Ogni cosa in questa stanza e nella mia vita trasuda del desiderio inarrivabile di personalizzare ogni cosa, di metterci quel “che” di dannatamente mio, allo stesso tempo preciso e totalmente incasinato. Quanto di noi è reale e quanto è vissuto invece solo per rientrare in quello schema che ci ha sempre visti protagonisti? Restare dentro lo schema da un lato è confortante, perché in fondo sai sempre gli altri cosa si aspettano da te. Si aspettano che tu dica una frase per farli ridere in quel determinato momento, e tu la dici, ma quanto di tutto questo è realmente parte di te e quanto invece è solo ormai una bieca abitudine? Se invece di far uscire dalla tua bocca quelle parole incautamente sarcastiche tu provassi a mostrare le tue vere fragilità? Le reazioni degli altri sarebbero imprevedibili, e questo spaventa, perché può smuovere il tutto. In bene o in male, non lo saprai finché non lo avrai provato. Ma stare dentro lo schema, certi giorni, come oggi, quando il cielo è basso e buio, forse richiede davvero troppe energie.

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Vita si scrive con la maiuscola

Vita si scrive con la maiuscola. È una lezione che non dimenticherò mai. L’ho scritto per la prima volta con la maiuscola quando avevo otto anni e da allora non ho mai abbandonato questa mia convinzione. Non ho avuto paura di uscire dagli schemi, è stato un puro azzardo, ricordo come se fosse ieri la paura di trovare la correzione segnata di rosso nei miei compiti, la paura di sentire la voce della maestra che mi rimproverava perché lei non ci aveva mai detto di scrivere Vita con la lettera maiuscola.

Non so spiegare a cosa sia collegata la potenza di questo ricordo, ma le parole di quel giorno me le porto ancora dentro. Un giorno apparentemente anonimo, un giorno che non saprei ritrovare sul calendario, un giorno normalissimo come tutti gli altri giorni di una bambina di otto anni. Eppure quel giorno ha segnato ogni altro giorno che è venuto dopo, probabilmente perché io, ingenua e senza particolari attese, ero senza barriere e ho capito che stava per succedere qualcosa. Non ho trovato nessun segno rosso nel mio quaderno. Mi è stata concessa la grazia della licenza poetica. A otto anni. La spiegazione della maestra fu abbastanza secca: “Tu l’hai scritto così. Fai in modo che la tua sia una Vita con la V maiuscola”. E adesso ogni volta che penso alla Vita, cioè ogni giorno, non posso fare a meno di ricordare quella frase; non è nemmeno più un ricordo consapevole, quelle parole prendono il via da sole, accompagnate da un brivido lungo la schiena. Quelle parole mi accompagnano e mi permettono di capire in che direzione sto andando. Mi regalano ogni giorno una possibilità: oggi ho Vissuto con la maiuscola?